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Thursday, July 9, 2009

Gli Dei, le banche... e la crisi globale

Un editoriale che mi è piaciuto.

Gli Dei, le banche... e la crisi globale

L'ultimo decennio è stato caratterizzato dall'idea, via via assunta dal sistema bancario come una “verità rivelata”, che il settore creditizio fosse destinato ad una “crescita perpetua”. Si postulava una sorta di “entropia” sulla base della quale l'espansione di una Banca dovesse essere continua ed ininterrotta, un po' quello che avviene per l'Universo (anche se per la verità parte degli scienziati pensa che ad una fase di espansione dell'Universo debba seguirne un'altra di contrazione, fino al suo collasso). Sulla scorta di questa weltanshauung si è assistito ad una crescita sfrenata, una sorta di riedizione di una corsa all'oro nella quale si sono aperti sportelli ovunque, si è dato luogo a fusioni megagalattiche alla luce del “grande è bello”, senza pensare a null'altro che ai profitti, non importa come realizzati.

La concretizzazione di questa filosofia la si toccava all'interno di ogni Banca all'inizio di ogni anno, quando si dava luogo ad un rituale basato su una formula matematica così esprimibile:
risultato dell'anno scorso + % di incremento (variabile) = risultato richiesto per quest'anno
Questa formula matematica, come tutti i teoremi, non ammetteva eccezioni, per cui veniva implacabilmente applicata qualunque fossero le condizioni socio-economico-temporali in cui operasse lo sportello: quindi non erano considerati fattori influenti il fatto, ad esempio, che sulla stessa piazza si fossero stabiliti sportelli di altri Istituti. Parimenti ininfluente il fatto che i residenti e le loro risorse non tendessero all'infinito (inteso come espressione di calcolo derivato).

Questa sorta di schizofrenia aveva origine in un Demiurgo non ben identificato che decideva che il risultato annuale di una Banca dovesse essere, per esempio, un “+25%”, e che veniva esploso gerarchicamente fino a raggiungere i terminali, i quali non potevano che prendere atto della “volontà degli dei”, a nulla valendo alcuna altra considerazione.

I desiderata dell'Olimpo determinavano ovviamente una pressione psicologica sui terminali, e si sa che la pressione psicologica non è una buona consigliera, e può determinare una sorta di abbassamento dei livelli di attenzione e di allarme che, alla fine, poteva spingere ad esempio ad appioppare un bel prodotto “strutturato” ad un arzillo ottantenne.

Il rito è andato aventi per lunghi anni nella certezza che il teorema della crescita continua non ammetteva eccezioni ed era diventata una legge universale.

Si badi bene però che il tutto procedeva furbescamente a ritmi di “trimestrali” e “semestrali”, e non perchè queste periodicità fossero migliori di altre, ma perché ad ognuna di queste scadenze erano legate quelle che in gergo pugilistico si chiamato “borse”, in lingua di San Marco “scaretà de schei”, ovviamente destinate ai soli Dei dell'Olimpo.

Difficile da dimenticare che pochi anni or sono l'Amministratore Delegato della nostra Banca ci ha comunicato che il bilancio non consentiva l'erogazione del VAP, ed il giorno dopo abbiamo appreso dal Sole 24 Ore i suoi emolumenti milionari (in euro ovviamente) per lo stesso anno.

Tutta questa bella impalcatura è miseramente crollata con la crisi globale che il mondo sta affrontando. Si potrebbe sicuramente discettare sul fatto che tranne qualche “voce che gridava nel deserto” nessuno ha previsto la nube che si avvicinava. Ma perchè avrebbero dovuto dare l'allarme o prendere contromisure preventive quando era proprio questo sistema, questa legge universale della crescita continua a garantire loro stipendi a nove zero, casali in Toscana, stock options, luci della ribalta.

E fu così che gli Dei del budget continuarono a ballare fino all'ultimo sul Titanic, tanto gli scatoloni con gli effetti personali sarebbero ovviamente toccati agli impiegati della Lehman Brothers, non agli Amministatori Delegati, che negli anni si erano messi da parte qualche soldino per la pensione.

Per non dire che almeno in qualche parte del mondo, ad esempio gli Stati Uniti, qualcuno ha già ottenuto un soggiorno gratuito a spese dello Stato nelle patrie galere, in tuta arancione, e sicuramente altri sono in lista di attesa, ma da noi le facce restano sempre le stesse, che vediamo in finanziera anno dopo anno pontificare ai convegni, alle conventions, alle Assemblee dell'ABI e di Banca d'Italia.

E per di più rifiutano sdegnati gli esempi che provengono da vasti settori produttivi europei e mondiali, dove il management si è drasticamente ridotto le remunerazioni. Qui da noi tutto deve rimanere com'è! Nessuno osi pensare di ridurci la nostra quota di “nettare e ambrosia”, ci spetta per diritto divino! Invece:
“una delle lezioni della crisi è che cattivi sistemi di remunerazione del management e dei responsabili delle funzioni chiave delle banche possono contribuire all'accumulo di rischi eccessivi. Chi è remunerato in funzione di risultati di breve periodo punta a profitti immediati senza tener conto dei rischi che li accompagnano. Ne segue una falsa contabilità del profitto che produce una micidiale spirale di rischio”.

Non sono le parole di un avversario del Sistema, bensì del Governatore Draghi all'Assemblea dell'ABI dell'8 luglio 2009. Speriamo non siano parole al vento.

La crisi attuale, che è ormai chiaro che non sarà né breve né passeggera, dovrebbe modificare profondamente l'approccio degli “Dei” ai problemi dell'oggi e purtroppo del domani. Invece devo mio malgrado constatare che l' “ottica di breve periodo” non è ancora stata abbandonata, se è vero come è vero che le pressioni commerciali sono ancora esercitate in funzione di avere ricche trimestrali e semestrali. Ciò vuol dire che non si è ancora fatto il necessario salto di qualità culturale, che dovrà portare alla valutazione del management, e le relative remunerazioni, in una prospettiva di medio-lungo periodo, alla fine del quale chi ha fatto bene avrà qualcosa in più, ma chi ha fatto male dovrà “andare a casa”.

Ma come tutte le malattie anche il virus della “crescita continua” è duro da debellare. Forse non sono stati ancora scoperti gli antibiotici in grado di contrastarlo. Quotidianamente i bancari ricevono telefonate di questo tenore:
  • Quanti conti nuovi hai aperto?
  • Quante obbligazioni hai piazzato?
  • Il tal cliente ha il castelletto vuoto. Come mai?
Ed è difficile obiettare. Ma come c**** vuoi che il cliente presenti portafoglio commerciale se non fattura più! A meno di chiedergli fatture false. Ma quanti conti nuovi sarà mai possibile aprire se la cassa integrazione, o la disoccupazione morde in Veneto e altrove come mai prima? È già tanto se i lavoratori non appena abbiano sentore di cassa integrazione o peggio non vadano a chiuderli i rapporti!

Ma quante obbligazioni potranno mai sottoscrivere pensionati e cittadini sempre più in difficoltà e in ansia per il futuro?

Questo non vuol dire ovviamente che il mondo si stia fermando, ma che qualcosa nell' approccio debba essere rivisto certamente sì. Non è possibile continuare nelle riunioni a descrivere il Veneto come una sconfinata prateria dove ci sono migliaia di indiani-cittadini con i carnieri pieni, in attesa di essere catturati dai bancari-cow-boy. Pur capendo le implicazioni dei ruoli, sarebbe opportuno non scadere nel ridicolo. Per non dire che “chi tira la
carretta” quotidianamente comincia a dare preoccupanti segni di stanchezza. Bisogna prendere finalmente atto che una crisi c'è, che è la peggiore mai vista dal 1929, che il cavallo non beve, e che alla fine bisognerà forse contare anche i “morti”.

Da questa presa di coscienza devono derivare comportamenti coerenti con la congiuntura. Si dovrà necessariamente chiedere che tutti facciano qualche sacrificio, non esclusi gli azionisti. Non vorremmo infatti dover vedere che nei prossimi anni gli sforzi di tutti siano finalizzati alla sola remunerazione del capitale, magari ottenuta col ferro e col fuoco all'interno delle Banche.

I bravi condottieri si vedono non nelle parate o nelle commemorazioni, bensì sotto il fuoco del nemico. Il tempo ci dirà chi sarà all'altezza della sfida.

Umberto Baldo

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